LA PAROLA DAL PARROCO

                       

LA FESTIVITÀ DI TUTTI I SANTI E DEI  DEFUNTI

E’ antica e popolare, oltreché religiosa, la tradizione di celebrare, l’1 e il 2 novembre di ogni anno, la festività di tutti i Santi e dei defunti.

 Grazie alle testimonianze e alle poche pagine di testo rintracciabili qua e là si possono ricostruire con esattezza le usanze, le abitudini e la devozione della gente .

In passato, come succede tutt’oggi, per la commemorazione dei santi e dei defunti, i fedeli assistevano alla solenne S. Messa loro dedicata. Anche allora la celebrazione liturgica in Chiesa  era seguita dal rito della processione al cimitero, ove i parroci, attorniati dai numerosi fedeli, tenevano un’altra omelia .Tuttavia qualcosa è cambiato : la gente non si occupava della cura delle tombe perchè molti anni fa i morti erano seppelliti per terra, pertanto i devoti parenti portavano semplicemente un omaggio floreale, in particolare i crisantemi e le margherite, i fiori più coltivati e tradizionalmente legati al ricordo dei defunti.

Ancora oggi, inoltre, per ricordare chi non c’è più, si è conservata la tradizione di accendere dei lumini, sia a casa che al camposanto; da sempre, infatti, la luce è segno di una presenza e simbolo di una memoria che perdura nel tempo.

Alcuni documenti raccontano che in molte zone dell’Italia, soprattutto in campagna, nei piccoli borghi rurali abitati dai contadini, i lumini venivano costruiti artigianalmente tra le mura domestiche: si infilava all’interno di un pezzetto di canna un filo sottile di cotone o di lino che poi veniva appoggiato sull’olio all’interno di una ciotola, cosicchè il filo bruciava e diffondeva la luce. I bambini, poi, muniti dei loro ceri luminosi, erano soliti riunirsi in piccoli gruppi e presentarsi alla porta delle case suonando il campanello e chiedendo dolcetti, ad esempio quelli con l’uvetta e le noci preparati per l’occasione,  frutta secca e qualche moneta.

Certamente quest’ultima usanza, così come molte altre, non è stata tramandata fino ad oggi, ma sono molti i riti legati alla festività dei santi ed al ricordo dei morti che sono rimasti ben saldi nella gente, in primis la solennità religiosa della celebrazione di chi si è elevato alla santità diventando modello di vita cristiana, e la commemorazione di chi ha raggiunto l’eternità spirituale.

Sono due celebrazioni fondamentali per la Chiesa ed i fedeli, perchè esprimono in modo significativo la fede nella vita eterna, il credo che spinge i cristiani a ricordare con devozione chi vive in una dimensione divina e  seguire le orme di chi con la propria virtù si è avvicinato a Dio .

                                                                                                          Elena Colombo 

                       

31 OTTOBRE : DEDICAZIONE DELLA CHIESA

“Francesco, considerato che potresti essere la memoria storica del gruppo, dovresti scrivere un trafiletto sulla giornata del 31 ottobre”: questo in sintesi ciò che mi sono sentito dire nel corso del primo incontro dei collaboratori del bollettino.

Hanno usato il termine “memoria” per farti notare gentilmente la doppia anzianità: di carta d’identità, il più vecchio dopo Don Luigi, e di ruolo, la penna con la maggior presenza (qualche lettore dirà “purtroppo”) sugli opuscoli parrocchiali.

Allora 31 ottobre: non per ricordare la notte di Halloween di provenienza americana, e neanche la giornata del risparmio di lontani ricordi scolastici, ma in modo molto semplice, l’anniversario della “dedicazione” della nostra chiesa parrocchiale.

Era infatti il pomeriggio inoltrato di 22 anni fa quando Mons.Carlo Maria Martini ( non era ancora stato elevato alla porpora cardinalizia ) giunse per la prima volta a Montesolaro per benedire e consacrare la nuova costruzione.

Le panche dell’aula assembleare (per usare una definizione molto cara a Don Pierangelo) erano gremite di fedeli quando l’alta figura del presule fece il suo ingresso per presiedere ai riti che la liturgia predispone per queste solenni celebrazioni: aspersione degli altari (quello della chiesa vecchia fu donato dal comune di Carimate) con deposizione delle reliquie dei Santi, unzione delle 12 croci come simbolo dei 12 apostoli lungo tutto il perimetro laterale (la scaletta che servì al vescovo per salire e tracciare in modo indelebile il simbolo di Cristo era portata da un giovane chierichetto che avrebbe avuto un futuro come cronista, Ruggero Fumagalli). Questi alcuni gesti esteriori rimasti impressi come immagini della giornata, ai quali aggiungere quelli più importanti costituiti dalle parole dell’arcivescovo nel corso dell’omelia: il sentire con passione l’attaccamento al proprio campanile, l’edificio fisico come simbolo di ritrovo della comunità che in esso diventa tale esprimendo la stessa fede nei riti intorno all’altare, il vivere con partecipazione ogni momento di questi riti, “celebrare bene” ogni funzione liturgica, sentire come dovere del singolo fedele il compito di tramandare alle generazioni future il credo ricevuto in eredità. Un raggiante Don Pierangelo ebbe parole di ringraziamento per tutti: per il buon Dio che l’aveva assistito fin dalla sua venuta qui a Montesolaro, per il vescovo che aveva onorato con la Sua presenza la nostra comunità, per tutti i fedeli che avevano sostenuto e collaborato alla costruzione della nuova chiesa, per gli “abitanti della Montesolaro celeste” più numerosi dei presenti e che sentiva vicini nella preghiera.

Pronunciando quelle parole penso avesse già in mente, allora, ciò che avrebbe riportato inciso sulla stele marmorea infissa, in modo molto significativo, sul muro che delimita la vecchia e la nuova ala della stessa chiesa: rileggendola si comprende l’intendimento e l’origine di quelle mura. Fu benedetta dallo stesso Don Pierangelo quando venne a ricordare in parrocchia il suo cinquantesimo anniversario di ordinazione sacerdotale, era il 1999.

Francesco Molteni

                       

VEGLIA MISSIONARIA 2003

Lo scorso 21 ottobre un nutrito gruppo di parrocchiani di Montesolaro ha partecipato alla Veglia Missionaria 2003 della nostra Diocesi che, quest’anno, ha toccato più serate dividendoci nelle diverse zone pastorali, ma permettendo comunque di sentirci uniti grazie al forte messaggio lanciato dal nostro Arcivescovo.

Noi, insieme agli amici di Novedrate, abbiamo vissuto l’incontro a Monza, presso il Palazzetto dello Sport che, per una sera, davanti a circa 3000 persone, ha cambiato la sua veste, trasformando il campo da gioco in una pedana di simboli: un crocefisso illuminato, un leggio per la Parola, un grande mappamondo, una struttura che rappresentava tutti i Decanati della nostra zona  ed un’area riservata ai “grandi personaggi”. Accanto all’Arcivescovo sedevano i Decani, capitanati dal Vicario, alle loro spalle i rappresentanti delle attività missionarie e delle parrocchie e, soprattutto, al loro fianco, i 9 missionari in partenza, tra cui la nostra suor Mariangela Colombo.

La serata si è snodata tra musiche, gesti, canti, letture e testimonianze ed ha avuto il suo apice nella briosa e significativa omelia del nostro Cardinale che ha sottolineato l’importanza della MISSIONARIETA’ come stimolo per crescere da veri cristiani. “Anche a noi il Signore dice: “Andate ecco io vi mando!”.Ognuno di noi deve essere missionario, cioè protagonista dell’annuncio dell’amore di Cristo!”. E nel suo messaggio l’ Arcivescovo non ha certo tralasciato un pensiero per il nostro Papa, da lui definito ”il più grande missionario sulla terra” e per tutti i missionari che sono stati proclamati Santi e Beati, invitando ognuno di noi a seguirne l’esempio.

Dopo quest’omelia è toccato ad una rappresentante del Pime raccontare la sua esperienza, vissuta nientemeno che accanto a Madre Teresa di Calcutta. Poi il momento più emozionante, la benedizione e la consegna dei crocefissi ai partenti che, poco dopo, si sono accostati alle uscite per far dono ad ogni partecipante di una cartolina da spedire ad un missionario che opera in un qualsiasi angolo della terra.

“Parrocchia e missione in ogni città e luogo” recitava lo slogan della veglia e, sicuramente, tutti coloro che hanno partecipato a questo evento l’hanno fatto proprio, caricandolo di solidarietà ed impegno verso gli altri.

…ora non ci resta che “andare dappertutto” ad annunciare le meraviglie dell’amore di Dio per noi…

…ora non ci resta che pregare per coloro che,  in terra di missione, lo stanno già annunciando al mondo intero!

URSULA BORGHI 

                       

DANIELE COMBONI: PADRE PASTORE E AMICO

Daniele Comboni fondatore della famiglia comboniana è stato santificato il 5 ottobre a Roma: un uomo che si è speso completamente per l’Africa.

La sua proclamazione come santo sfida tutti i cristiani a spalancare le porte chiuse per ascoltare il grido dei “lontani” del nostro tempo. Egli ha messo un sigillo di autenticità sulla storia missionaria vissuta dai suoi figli che con la propria vita hanno testimoniato il Vangelo in mezzo a difficoltà, sofferenze e persecuzioni.

Comboni nacque a Limone sul Garda il 15 marzo 1831 e venne educato a Verona dove diventò figlio spirituale di uno degli esponenti del movimento missionario di allora: don Nicola Mazza. Nell’incontro e alla sequela del Mazza si aprì alla vocazione missionaria. A 18 anni giurò di consacrare la sua vita a Cristo in favore dei popoli africani fino al martirio.

Ordinato sacerdote e partito all’età di 26 anni per l’Africa centrale si trovò ad essere tra i pionieri di quella missione.

Nominato vescovo dell’Africa centrale lottò contro la tratta orientale degli schiavi denunciando sia la politica di sfruttamento coloniale sia l’ambiguità di certi atteggiamenti di politici ed ecclesiastici in rapporto alle missioni.

All’inizio la Missione dell’Africa centrale si profilò subito come un fallimento: perirono decine e decine di missionari fra i quali quasi tutti i primi compagni del Comboni. In questo contesto si inserì un evento di grazia straordinario nella vita del Comboni. Era il 15 settembre 1864, mentre pregava sulla tomba di San Pietro piombò su di lui la grazia divina e nacque così il suo “Piano per la rigenerazione dell’ Africa mediante se stessa”.

Da allora si moltiplicarono i viaggi del Comboni per quasi tutti i paesi europei, fondò opere, scrisse articoli in favore della missione africana, incontrò personaggi di ogni rango e ceto per un unico interesse: che Cristo fosse conosciuto e la “Nigrizia” rigenerata in Lui. Gli ultimi anni della sua vita furono di indicibile sofferenza ma egli seppe accogliere il Mistero della croce come segno di fecondità ecclesiale per i suoi popoli d’Africa discriminati.

Colpito da febbri violente morì il 10 ottobre 1881.

Comboni con il suo operato era riuscito a promuovere tutto un movimento missionario che coinvolgeva vescovi, sacerdoti, religiosi e laici con una grande passione: rendere presente il messaggio evangelico nel mondo africano e che un missionario doveva essere l’abbraccio tangibile di Cristo per i popoli dell’Africa. 

( tratto dalla rivista missionaria Nigrizia-settembre2003)

                                                                                   Monica Maneo

                       

OPERAZIONE S.O.S. 2003 E … 2004

Prima di iniziare questo nuovo anno con una nuova importante iniziativa, è bello poter fare un resoconto positivo di quanto realizzato lo scorso 2003.

Abbiamo consegnato 15000 euro a suor Donatilla, in occasione della festa dell’oratorio, domenica 29 settembre. Questo il nostro contributo per la ristrutturazione della scuola di Salima (in Libano), distrutta dalla guerra e abbandonata. Ora che la guerra è finita, la popolazione sente di nuovo l’esigenza di essere unita, nonostante le differenze di credo e religione. Il fatto di collaborare nella solidarietà verso chi ha bisogno di aiuto concreto è stato utile anche per la comunità di Montesolaro: abbiamo lavorato insieme per gli altri, cercando di capire problemi che noi fortunatamente non abbiamo mai dovuto affrontare e di stare loro vicini nella preghiera. Speriamo che questo sia stato motivo di sensibilizzazione e crescita interiore per ognuno di noi. Grazie quindi all’aiuto di tutti si è potuto ottenere questo risultato.

Sul lato pratico, il ricavato è frutto del lavoro di molti:

sono stati organizzati diversi pranzi (e cene) in occasione di feste particolari (ultimo dell’anno, festa della famiglia, anniversari, S. Cresima) o matrimoni, cui hanno collaborato adulti e ragazzi;

i più giovani hanno partecipato anche alla vendita di oggetti dal Libano nei mercatini di Natale, alla vendita dei cedri, all’organizzazione delle sfide durante l’happening dei giovani;

anche i campi legna sono stati momenti importanti per giovani e adulti;

non dimentichiamo poi il contributo dei più piccoli, con le loro rinunce (salvadanai di Avvento e Quaresima) e l’adesione alla proposta di Mago Sales contro le armi;

e infine grazie a tutte le offerte in favore della proposta OPERAZIONE SOS 2003.

Speriamo di poter lavorare ancora insieme il prossimo anno, questa volta per aiutare la missione di ISIOLO (Kenya) della congregazione delle suore di Santa Maria di Loreto in Africa. Anche quest’anno la proposta OPERAZIONE SOS 2004 conta sulla collaborazione di tutta al comunità: il progetto è quello della costruzione della scuola; la nostra finalità è finanziare la realizzazione del salone che verrà utilizzato per attività comuni e celebrazione delle S. Messe. Prossimamente vi racconteremo anche questa nuova storia.

Elisa Corti

                       

ANAGRAFE PARROCCHIALE SETTEMBRE – OTTOBRE

                       

LES DEUX ALPES: VACANZA ESTIVA 2003 – UN TEMPO PROPIZIO

                       

INDIMENTICABILE VALLES

Il commento è unanime. Questa prima vacanza GAG è stata davvero un’esperienza indimenticabile. Il primo artefice di questo successo è stato sicuramente il sole che ci ha accompagnato (senza mai abbandonarci un attimo) sette giorni su sette; ma senz’altro questa vacanza sarà ricordata per altri motivi. Primo fra tutti il bel clima (e questa volta non ci riferiamo a quello atmosferico) creato durante tutta la vacanza: le quattro squadre organizzate fin dal primo giorno hanno collaborato rispettando i turni predefiniti per il servizio a tavola, sfidandosi nei giochi comunitari serali e nelle mitiche “Olimpiadi” finali con entusiasmo ed allegria. La Val di Valles che ci ha ospitato, ricca di bellezze naturali e, buon per noi, non troppo affollata di turisti, è stata un ottimo punto di partenza per “passeggiatine leggere” e grandi escursioni. Vipiteno e Bressanone, le città che abbiamo visitato, sono senz’altro fra le più belle e affascinanti dell’Alto Adige. E come non ricordare il rafting sul fiume Isarco: 14 Km di avventura mozzafiato con esperti (e anche un po’ pazzi) istruttori. E poi le Cascate di Stanghe, con salti d’acqua fra pareti di marmo bianco, il percorso idroterapico per ritemprare le stanche membra, le arrampicate, la serata tirolese, il karaoke, la piscina e…le interminabili partite a carte, a calcio e a pallavolo.

Ma le nostre giornate, così intense, erano sempre scandite dal ritmo preciso e puntuale della preghiera: in questa settimana abbiamo capito che è bello avere tanti amici, ma ancora più bello è avere un amico che non ti abbandona mai. Ecco perché, alla fine di questa esperienza, abbiamo voluto scrivere il nostro nome sul grande cartellone della nostra preghiera: anche noi vogliamo essere amici di Dio.

Con lo stesso stile vogliamo continuare il cammino del GAG di quest’anno con le varie iniziative che ci saranno. Appuntamento quindi come sempre al venerdì sera per la S.Messa delle ore 20.30 e poi all’Oratorio per vivere insieme anche questa nuova avventura.

P.S. Grazie a quanti hanno reso possibile questa vacanza: a don Luigi e a tutti coloro che ci hanno prestato i pulmini, all’Alpetour che ci ha fornito una casa “con i fiocchi”, a tutti i “mitici” partecipanti che l’hanno vissuta con tanta allegria.

Gabriella e Stefano

                       

PIZZO DI CANTÙ O PIZZO CANTÙ?

La risposta a questa domanda – che, credo, metterebbe in difficoltà non poche ragazze di oggi - mi è stata suggerita dalle organizzatrici della mostra-vendita dei pizzi, che ha avuto luogo domenica 26 ottobre in ossequio ad una tradizione ormai ventennale nella nostra comunità. Tutti i lavori esposti erano naturalmente originali “pizzi di Cantù”, cioè ricami eseguiti a mano con tombolo e fusilli e per ciò stesso ben più pregiati delle imitazioni realizzate a telaio, che vanno sotto il nome, volutamente ambiguo, di “pizzi Cantù”.

Le oltre cinquanta nostre parrocchiane che hanno offerto i propri ricami sono le eredi di una lunga tradizione, che ci riporta indietro nel tempo di circa cinque secoli. Sembra che l’arte del pizzo sia stata introdotta nel Canturino dalle suore benedettine, che qui avevano un convento. Esse si dedicavano al ricamo dei paramenti ecclesiastici e all’insegnamento dell’arte del merletto alle giovani. Il pizzo incontrò subito il favore delle donne canturine ed i suoi segreti furono trasmessi di madre in figlia per generazioni. I ricami da esse realizzati avevano quale mercato privilegiato quello milanese. Ma fu solo intorno alla metà dell’Ottocento che, sull’onda di una moda che imponeva veli e scialli, nacque una vera e propria “industria” del pizzo di Cantù. Casalinga, s’intende: essa si basava sul lavoro domestico delle donne, che nell’arte del ricamo vedevano una fonte di guadagno, seppur modesto, che non le distoglieva dalle cure familiari.  Negli ultimi cinquant’anni l’arte del pizzo ha subito un inevitabile declino, di pari passo con i grandi cambiamenti del mondo di oggi. Il lavoro sul tombolo, che richiede rigore e pazienza, è simbolo di una dimensione del tempo e di un ritmo di vita ormai perduti.

Ma nella nostra comunità esso sembra godere ancora di una straordinaria vitalità.

Un grazie alle “artiste del pizzo” della nostra parrocchia ed un arrivederci al prossimo anno con una nuova edizione della mostra.

Tatiana Gammacurta

                       

V’ERAVATE DIMENTICATI DEL BOLLETTINO?!

                       

MADRE TERESA DI CALCUTTA