RELAZIONE ANNO PASTORALE PARROCCHIALE 2002
Carissimi, mi accingo a tenere questa relazione pastorale sul vissuto della comunità nel corso dell’anno da poco terminato. Sono consapevole anche del rischio che corro! Dire solo in parte quello che dovrei dire compiutamente. Ma è doveroso per il parroco, almeno una volta all’anno, fermare l’attenzione sua e dei suoi fedeli verificando l’andamento della propria vita cristiana e di quella della comunità.
Purtroppo ho a mia disposizione un tempo circoscritto, lo spazio di una normale predica. Devo insieme offrire una riflessione che non stanchi troppo e che insieme sappia coinvolgere.
Dovessi
dunque sintetizzare i fatti caratteristici del 2002, dovessi dire le cose da
ricordare, non esiterei a dire queste due.
1.
La Missione Popolare dello scorso gennaio/febbraio
2.
L’avvicendamento alla guida della nostra Chiesa Ambrosiana del nuovo
Vescovo, il Cardinal Dionigi Tettamanzi.
La
Missione Popolare è stata evento di particolare grazia, occasione opportuna di
crescita per ciascuno e per tutta la comunità.
Tutti
eravamo chiamati a prendere coscienza della propria vita cristiana, della
propria identità. Che cioè siamo cristiani, battezzati, figli di Dio. Come
tali dobbiamo vivere, in coerenza; nella consapevolezza del cammino da
percorrere, della rotta da seguire. Cammino e rotta che hanno un nome preciso:
Gesù, il suo vangelo, il suo messaggio di amore. Compito sostanziale della
Missione?
1.
risvegliare
più responsabilità nelle coscienze sull’esercizio e sulla pratica della
propria vita cristiana.
2.
Fissare
con decisione la rotta da percorrere: la strada che porta incontro a Gesù,
l’impegno della Chiesa di questi anni dopo il Giubileo 2000.
La
mia coscienza mi spinge ora alla preghiera.
Gesù, Tu ci sei necessario. Tu sei il Signore della vita e della
storia. Tu, il traguardo per tutti. Sospiro ed anelito di ogni essere vivente,
di ciascuno di noi e di tutti i popoli. Tu, vero e pieno significato, centro
dell’universo intero.
Dunque
la Missione Popolare come occasione per risvegliare questa coscienza, per
ravvivare un impegno vivace, profondo di pratica cristiana generosa, di
testimonianza matura e responsabile, capace di rendere ragione della speranza
presente nei cuori.
Certamente
ricordate? Ci siamo preparati per tempo, lasciandoci guidare da una traccia
biblica.
Siamo partiti riconoscendoci figli di questo tempo “soli e vuoti, rumorosi ed insensati, inevitabilmente idolatri”. (L’espressione era di Padre Turoldo). Preparandoci alla Missione abbiamo chiesto più volte, nella preghiera, il dono di una mente e di un cuore liberi dagli idoli asfissianti. Soprattutto il dono di essere aperti e docili all’ascolto dell’Unico Signore.
Durante
il tempo della Missione siamo rimasti affascinati dalla bellezza dello stare
insieme, comunità cristiana, desiderosa di rinascere con Lui, il Risorto, alla
vita nuova, una vita ricca di significato e di più forte speranza.
Risponde il Signore:
“Camminerò con te e ti darò riposo”. (Esodo 33)
Così
ci siamo rivolti al Signore nel tempo della Missione!
E
il Signore ha illuminato menti e cuori, ci ha ammaestrato con parole di vita.
Pieni di gratitudine eccoci ora nel tempo utile a dare impulso al nostro
“esodo”, cioè alla nostra conversione di vita. Conversione che comporta un
deciso camminare sulle strade che il Signore offre, giorno dopo giorno, sino ad
arrivare a quel traguardo di pace che è bene supremo, che è dono per tutti.
Carissimi,
questo è quanto sta davanti a noi come lavoro prezioso da compiere!
Percorro
alcune fasi del mandato che ci siamo assunti e qui le ricordo a mo’ di
verifica.
Perseverare nell’ascolto della Parola. Il
valore dell’Ascolto passa attraverso La preghiera quotidiana personale e
familiare. Sia la Parola e non le nostre parole come ho ricordato anche domenica
scorsa commentando il Prologo di San Giovanni: “In principio la Parola!”
Nella
nostra Comunità non mancano iniziative e proposte per un ascolto assiduo della
Parola. Penso alle molteplici occasioni: Scuola della Parola, Gruppi di Ascolto,
Omelie, Catechesi quaresimali e quant’altro ancora.
Ci
vuole, credetemi, un desiderio intenso ed una volontà forte per condividere
questo cammino di fede. Ci vuole impegno e perseveranza! Virtù da chiedere al
Signore come dono.
Diceva
il brano di Vangelo meditato coi giovani del decanato, nell’ultimo incontro
della Scuola della Parola: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà
la fede sulla terra?”
Nella nostra comunità si può e si deve fare di più, sia come
partecipazione sia come formazione di fronte all’annuncio della Parola!
La
fede, si sa, viene dall’ascolto. Se non c’è disponibilità all’ascolto,
siamo come una candela che muore per mancanza di cera. La Parola è alimento, è
sostegno alla vita cristiana.
Nonostante
gli anni trascorsi alla Scuola del Cardinal Martini, vero maestro, innamorato
servitore della Parola, devo rilevare che, molti ancora, nella nostra Comunità,
non ne hanno colto l’importanza e il valore.
Perseverare dunque nell’ascolto della Parola! E favorire momenti di
incontro e di preghiera sulla Parola!
Una
seconda attenzione vedo urgente e necessaria:
Celebrare fedelmente la Santa Messa festiva! Quando dico celebrare
intendo metterci mente e cuore nelle azioni liturgiche. Sono
ormai dieci anni che vivo in questa Comunità. Conosco aspetti positivi e virtù.
E ce ne sono! Tante sono le consolazioni del parroco! Conosco pure qualche
difetto. In una relazione come questa è bene aprire gli occhi indicando
possibilità di superamento.
Non
è forse giusto desiderare la propria sposa più bella, sempre virtuosa?
Credo
dunque necessario un richiamo generico a maggior responsabilità sui doveri e
sulle modalità del vivere i momenti liturgici e celebrativi.
Nell’ultimo
incontro con i responsabili della liturgia e del canto sacro più di una persona
ha sottolineato come le nostre assemblee faticano a cantare e non sempre
partecipano in modo adeguato. D’accordo la presenza di un bravo solista, ma la
comunità non deve stare a guardare. Deve essere coinvolta; essa pure è
chiamata a cantare! L’ho già detto altre volte: “Non si va in chiesa come
si va al cinematografo: ogni fedele è attore, chiamato per la sua parte a
costruire l’azione liturgica”.
Se
un estraneo entrasse in chiesa durante una delle nostre celebrazioni che
giudizio darebbe del modo di pregare? È la nostra una comunità viva? Ha fede?
È capace di partecipazione? Si lascia coinvolgere nell’azione liturgica? È
disposta a pregare col cuore?
Potrebbe
dare questo giudizio osservando l’assemblea, il modo con cui sta radunata, il
contegno che tiene, il suo pregare, il suo cantare.
Che la preghiera nella nostra comunità sia sempre fatta bene.
Impariamo a pregare insieme, coralmente. Siamo una comunità sì o no!?
Non
c’è come trascurare queste cose per scadere, lasciarsi andare nella piatta
superficialità. Si scivolerebbe in uno stile che non va bene a nessuno: non dà
gloria a Dio, e non piace alla fin fine nemmeno a noi stessi.
La domenica cerchiamo di arrivare puntuali in chiesa. Occupiamo tutte le panche
davanti. Quante volte sono tentato di richiamare coloro che stanno in fondo
lasciando panche vuote davanti.
Alla
Messa delle undici, noto giovani arrivare tardi e stazionare nella chiesa
accanto. Questo non va bene, in quanto
c’è posto per tutti in chiesa grande. Fermarsi a lato dà l’impressione di
non voler aver parte all’assemblea. Dà impressione di non apprezzare il
pregare ed il cantare insieme. Restare isolati nella chiesa accanto si cade nella tentazione del chiacchierare, del distrarsi. Si finisce a
fare tutt’altro che vivere invece l’azione liturgica con i suoi frutti di
grazia e di salvezza.
In
questa situazione avverto poi un pericolo concreto.
Stazionare
nella chiesa accanto, presto o alla fine si va a stazionare…. fuori chiesa.
Mancando cioè le condizioni di una partecipazione liturgica seria e motivata
alla fine si conclude di non venire più neanche alla Messa.
E che dire ancora dei pochi o dei molti che, per motivi di Messa veloce
o di Messa più corta, dicono di adempiere il precetto fuori dalla propria
comunità, frequentando
liturgie domenicali nelle parrocchie viciniori?
Lascio
giudicare la situazione!?
Dico
semplicemente che ognuno deve crescere nella propria comunità. È doveroso fare
riferimento alla propria comunità accogliendone proposte ed iniziative. La
propria comunità ha una sua storia, ha i suoi cammini, ha le sue tradizioni.
Dice
un proverbio: “L’erba del vicino è più verde, attira”. Può essere vero!
Come può essere vero che frequentare sistematicamente altre parrocchie porta a
dimenticare valori importanti. Questi ad esempio: la corresponsabilità e la
partecipazione.
“La
parrocchia è luogo di corresponsabilità.
È luogo dove ogni fedele è chiamato a portare il suo contributo per
l’edificazione, per il bene della comunità stessa”. (Cfr.
Sinodo)
C’è un altro aspetto altrettanto vero quanto
pericoloso e che quindi non è da snobbare. La mancanza di una volontà per
una vita cristiana di alto profilo.
“Vado
altrove perché non voglio impegnarmi fino in fondo in un cammino di crescita
religiosa adulta e matura”.
“Vado
altrove perché mi sta bene così. Posso fare quello che voglio. A me basta una
misura minima di vita e di pratica cristiana”.
Filosofie
zoppicanti, che non si addicono, che non possono appartenere a chi vuol essere
vero discepolo del Signore. Filosofie queste che, purtroppo, fanno cattiva
scuola. Dunque ognuno nella propria comunità partecipi e viva con impegno la
sua testimonianza di vita.
·
I
chierichetti siano fedeli e puntuali nel servizio all’altare; di esempio nella
preghiera celebrativa.
·
I lettori
ed i cantori svolgano con responsabilità e competenza il loro servizio, senza
improvvisazioni e senza protagonismi.
·
Quanti
sono addetti alle pulizie e al decoro della Chiesa edificio svolgano con gioia e
con fiducia il lavoro.
·
E per
tutti sia chiaro: quanto vien fatto in silenzio, di nascosto e con umiltà, il
Signore lo apprezza immensamente. Al Signore non sfugge alcun operato. Il
Signore conosce il cuore con cui ci si mette a disposizione. Il Signore
ricompensa come Lui solo è capace di fare.
Una lode devo esprimere a quanti lavorano nel campo della gioventù.
Vedo
nei responsabili attenzione e dedizione che mi rincuora. In un ambito difficile
e fluttuante come quello giovanile è di conforto vedere persone che si adoprano
a tenere insieme una realtà di per sé difficile, cercando per essa nuove forme
aggregative capaci di rispondere alle sensibilità di oggi.
Penso
innanzitutto al Consiglio d’Oratorio
che vedo funzionare bene nei suoi componenti pur nella diversa età
generazionale. È bello vedere genitori, giovani ed adolescenti ritrovarsi
periodicamente a programmare e verificare iniziative e attività che riempiono
la vita dell’Oratorio; iniziative ed attività che richiedono oggi sempre più
tempo, più impegno, tanto aggiornamento.
Penso
poi al Gruppo Adolescenti Giovani da
poco nato e già consolidato; un gruppo che dimostra di essere capace di
proposta, di aggregazione, capace di aprire orizzonti per un futuro giovanile
ricco di promesse nella nostra comunità.
Il
GAG è una modalità di aggregazione suadente e stimolante. Nessuno può dire
che sul territorio della parrocchia non si fa niente per la gioventù locale.
Accanto
a questo ambito c’è poi il Gruppo
Sportivo, gruppo che è parte della parrocchia. Anzi, questo Gruppo, quando
è nato, è nato proprio all’interno dell’Oratorio e dell’Oratorio
conserva, dovrà sempre conservarne lo spirito e l’attenzione. Il GS
Montesolaro è oggi realtà ben strutturata che offre, alla quasi totalità
giovanile locale, un efficiente servizio di pratica sportiva. È un realtà
interamente guidata genitori, ben inseriti nella comunità e che per la comunità
dedicano in modo gratuito tempo, fatica, professionalità.
A
quanti spendono energie e lavorano in questi campi formativi dico con forza di
continuare per il bene della gioventù, perché cresca bella, sana, fortemente
legata a valori umani e cristiani.
Tanta
disponibilità educativa non è forse vera la ricchezza della nostra parrocchia?
Io sono sicuro che le fatiche che si affrontano e che si portano sulle spalle
nel lavoro educativo sono investimento efficace per un futuro promettente alla
nostra comunità.
Da
ricordare poi come fatto importante successo lo scorso anno è l’avvicendamento
sulla Cattedra di Sant’Ambrogio del nuovo Cardinale Arcivescovo Dionigi
Tettamanzi.
Ci
tengo a farne menzione in questa mia relazione. Il nostro essere Chiesa di
Cristo oggi dice necessariamente che noi siamo legati e riferiti al Pastore che
rappresenta Gesù oggi, in mezzo a noi.
Il
Cardinal Martini ha rimesso nelle mani del Papa il mandato di Pastore della
Chiesa di Milano. La nostra Chiesa di Montesolaro è piccola porzione della
grande chiesa che è a Milano.
Le
sue dimissioni, motivate dall’età raggiunta e da problemi di salute, hanno
così interrotto un episcopato durato per oltre vent’un anni.
Riandare
su questi anni di Martini a Milano è motivo di consolazione e stupore. Il suo
è stato un tempo di grazia e di bene per tutta la Chiesa milanese.
Pure
il nuovo Arcivescovo è un dono. Ce lo ha fatto il Papa con la sua
sollecitudine, con il suo amore. Il cardinal Dionigi Tettamanzi è ora la nostra
nuova guida, ci rappresenta Gesù! Per noi è l’anello sicuro di congiunzione
con Gesù. Ci assicura che stando uniti a Lui, siamo uniti al Papa, siamo uniti
a Gesù.
Questa
è la fede della Chiesa. Questa carissimi parrocchiani è la mia, la nostra
fede.
Amiamo
il nuovo Arcivescovo come abbiamo amato il cardinal Martini e non dimentichiamo
una frase da Lui pronunciata in uno dei suoi ultimi discorsi:
“I vescovi passano, lo Spirito resta!”.
Quante
cose avrei ancora da dire! Vasto è il campo dell’azione pastorale che la
nostra comunità abbraccia. Una parola ancora dedico alla realtà
della famiglia. Dice il Sinodo 47° al paragrafo 396:
“La
Chiesa ambrosiana è pienamente consapevole dell’importanza della famiglia per
la crescita della persona, lo sviluppo della società, e la vita della Chiesa.
La famiglia è il primo luogo in cui la personalità prende forma ricevendo il
senso dell’esistenza ed è la comunità in cui si realizza la comunione delle
persone come segno della “civiltà dell’amore”, in quanto essa trae la sua
radice e la sua dignità dal mistero stesso dell’amore di Dio”.
Il futuro dell’umanità dipende dalla famiglia!
Come stanno di salute le famiglie della nostra comunità? Non è così facile
rispondere!
Ne
conosco di stupende, e lo dico con gioia perché vedo in esse vere comunità di
amore perché c’è in esse unità, armonia, rispetto, obbedienza, capacità di
comprensione, di compassione. Elementi questi che implicano di per se stesso
reciprocità, rapporto vicendevole, comunione. Atteggiamenti ed impegni questi
assolutamente necessari perché – checché se ne dica – la volgarità,
l’irrisione, l’insensibilità altro non sono che egoismo, e talora un grande
egoismo, che fa morire l’amore nel quale si fonda e si mantiene la famiglia
stessa!
Che
le famiglie della nostra comunità siano ispirate dallo stile e riferite sempre,
quanto a comportamento, alla Santa Famiglia di Nazaret che è l’unico vero
modello di ogni famiglia. Che dunque le nostre famiglie ne siano splendida
fotografia!
Anche
da noi però si registrano, quasi in un crescendo, famiglie in difficoltà.
Queste situazioni di crisi meritano tanta comprensione. Talvolta sono così
complessi i problemi di alcune famiglie che non si sa davvero come aiutare.
Quando vengo a conoscere una famiglia in difficoltà, cerco, se mi è richiesto,
di mediare, di suggerire consigli pratici, dettati dal buon senso, per un
superamento della crisi stessa. Soprattutto ne faccio oggetto di preghiera al
Signore; una preghiera sofferta e di condivisione.
Una
cosa però sento qui di sottolineare seppur in forma generica Quando nella vita
di coppia si scatena qualche difficoltà, qualche contrasto, bisogna risolvere
subito questa crisi. Non si deve trascinarla all’infinito rimanendo giorni e
giorni col musone in attesa di chissà chi.
Per
me i contrasti e le difficoltà si possono risolvere se c’è la disponibilità
al perdono. Si deve praticare il perdono! Dobbiamo diventare capaci di dare
il perdono e di ricevere il perdono. La rovina di tante famiglie è la mancanza
in esse di una capacità di perdono!
Giudico
l’orgoglio come la “mala bestia” che fa morire anche le cose grandi, i
valori veri! Oggi l’amore viene ucciso dalla superbia e dall’orgoglio. Sono
convinto che l’amore dei coniugi è capace di camminare nel tempo e negli anni
se i due praticano le virtù della umiltà e del perdono. Se i due sanno
perdonarsi reciprocamente non conosceranno fallimenti nella loro vita
coniugale..
Carissimi parrocchiani teniamo alta
la misura della nostra vita cristiana. Cerchiamo di avere attenzione e cura
della nostra vita spirituale accostandoci regolarmente ai sacramenti. Gesù li
ha istituiti perché avessimo ogni aiuto e tenere così alto il rendimento
spirituale, il profilo della nostra vita cristiana.
Suggerisco
la partecipazione alla Messa anche nei giorni feriali.
Conoscessimo
davvero il valore di una Messa celebrata, non mancheremmo all’appuntamento!
“Tutti hanno un orologio e nessuno ha tempo. Scambiate le due cose:
lasciate il vostro orologio e riprendetevi il vostro tempo”.
Ho
trovato questa frase leggendo una riflessione di Monsignor Ravasi sul quotidiano
“Avvenire”. Dice il sacerdote: “L’orologio è diventato, soprattutto ai
nostri giorni, una sorta di giudice inesorabile: persino quando si è in chiesa
è facile vedere fedeli che controllano l’ora sul quadrante dei loro orologi,
quasi a contingentare anche il tempo destinato a Dio”.
In
una società frenetica come la nostra, convinta solo che “il tempo è
denaro”, è necessario qualche volta buttar via l’orologio e riappropriarsi
del nostro tempo per viverlo in modo personale, libero, creativo, quieto e
sereno.
E
che dire della dimensione caritativa
nella nostra comunità?
Ho
davanti a me la relazione presentatami dall’incaricata del Gruppo Missionario
riguardo l’attività svolta lo scorso anno.
Ventimilacentottantuno euro devoluti in carità!
Un cifra lusinghiera, che testimonia generosità e attenzione della nostra
Comunità verso i poveri.
Assieme
al dare per i poveri lontani, si abbia attenzione
anche ai poveri vicini. Quelli cioè della casa accanto; quelli che sappiamo
soli e tristi; quelli malati o schiacciati da tanti problemi. Le povertà di
oggi non sono solo quelle che comportano il dare un aiuto materiale: procurare
cioè il cibo, il vestito, la casa, il lavoro e così via. Oggi necessitano
soprattutto aiuti di tipo spirituale: il conforto nel dolore, la presenza nella
solitudine, il consiglio nel dubbio, il perdono a chi offende, la correzione a
chi sbaglia, l’istruzione a chi ricerca la verità, la testimonianza della
fede a tutti. Le opere di misericordia
materiale e spirituale!
Attenzione dunque ai poveri della comunità!
Questi poveri sono anche nella nostra ricca Montesolaro. Farsi carico di loro è
grande urgente gesto di carità.
Serve farsi avanti, entrare a far parte dei Gruppi caritativi già
operanti.
Serve rendersi disponibili, dare una mano, dedicare tempo, come stanno facendo
in modo esemplare quelli del Gruppo Caritas e del Gruppo Missionario.
L’egoismo
si annida nel cuore di ciascuno e può succedere purtroppo che uno metta il
cuore in pace dicendo: “Ho fatto il mio gesto di carità; sono a posto, mi
sento a posto!”. “La carità non avrà
mai fine!”
Concludo questa relazione con un accenno alla situazione economica.
Ringrazio
quanti sono attenti ai bisogni della Comunità, ne sostengono il vivere
dignitoso ed hanno a cuore le strutture, gli ambienti e le attività.
Ho
già avuto modo di dire come la nostra parrocchia ha tante proprietà. In questi
anni si è dovuto affrontare ristrutturazioni di edifici bisognosi di
intervento. Quanto fatto, lo si è sempre deciso in sede di Commissione
Economica Parrocchiale.
Urgente
è ora intervenire sullo stabile
dell’Oratorio Maschile cui è annessa la cappellina. Il tetto di questo
stabile è in situazione penosa e di avanzato degrado. Necessita un pronto
rifacimento del tetto che purtroppo filtra acqua quando acquazzoni e temporali
insistono fuori misura. Una promessa ci è venuta pubblicamente dalla
amministrazione comunale nella persona del Sindaco. Si tratta di approntare un
progetto di rifacimento tetto e facciata.
Lo stabile di via Madonnina è in corso di fine opera.
C’è voluto così tanto tempo, per motivi di organizzazione da parte degli
architetti prima e della stessa impresa poi. Motivi che giudichiamo a
tutt’oggi incomprensibili. Né il parroco né la Commissione Economica sanno
rendere ragione di tanta lungaggine. Di questo chiedono scusa.
Ora
sembra tutto a posto. In questi giorni di fine gennaio si procede alla posa del
pavimento e, subito a seguire, i lavori di recinzione e di finitura interna ed
esterna dello stabile: posa dei serramenti, ultimazione dell’impianto idrico
sanitario, impianto elettrico, ascensore e quant’altro. È presumibile che per
l’inizio della prossima estate tutto sarà finito.
La situazione finanziaria? Metà circa del costo complessivo dell’opera è già
pagata (400.000 euro). In cassa sono 170.000 euro. Resta ancora un cammino
impegnativo per arrivare al tetto dei 900.000 euro, costo preventivato dello
stabile di via Madonnina.
Mi
rivolgo alla comunità per dire l’urgenza di un sostegno più corale. Non
tutte le famiglie hanno aderito alla proposta formulata a suo tempo dalla
Commissione Economica (ogni famiglia mille lire al giorno per tre anni di
seguito!).
In
questi anni non ci sono state entrate straordinarie di particolare peso, tranne
il contributo della Cassa Rurale Artigiana (31.000 euro!) che qui ufficialmente
e doverosamente ringrazio.
Resto
fiducioso in eventuali contributi che provvidenzialmente possono aggiungersi.
Alleggerirebbero lo spessore del debito che impedisce l’accelerazione al
compimento dei lavori in cantiere.
Sembra strano parlare ancora dell’ultimo dell’anno quando ormai l’atmosfera natalizia e il rilassamento delle ferie sono un lontano ricordo, ma vale la pena scrivere due righe su quei meravigliosi giorni di vacanza insieme…
Domenica
29 dicembre 2002, dopo la S. Messa, 33 tra adolescenti e giovani della nostra
parrocchia sono partiti con meta Monteleco... per qualcuno luogo sconosciuto,
per altri un ricordo dell’anno precedente. Tre giorni all’insegna
dell’amicizia, della condivisione, delle risate, da alcuni momenti di
preghiera...insomma tre giorni per attendere con ansia il nuovo anno.
È
stata un’esperienza positiva, cosi come è stato sottolineato anche nella
verifica che recentemente i partecipanti hanno svolto, che ha visto coinvolti
tutti i ragazzi che hanno risposto bene alla proposta (del GAG!) a vivere questo
“ultimo” insieme.
Non
si possono scrivere qui tutti gli aneddoti e i momenti di gioia che in quei
giorni abbiamo vissuto... e anche i piccoli inconvenienti che ci sono stati...
ma tutto è servito per stare insieme... per stare bene insieme!
E
allora un grazie di cuore a tutti coloro che hanno vissuto anche con me questa
vacanza e che hanno aspettato il 2003 con la speranza che sia un anno ricco di
“doni belli” per tutti!
…
e ricordando lo slogan dell’articolo scritto sul Bollettino lo scorso anno per
questa iniziativa… MONTELECO ALÈ!
Non
tutti sanno chi è Giovanni Bosco, molti pensano che sia un santo come tutti gli
altri ma si sbagliano e con questo articolo vorremmo farvelo conoscere meglio.
Don
Giovanni Bosco, nato a Castelnuovo d’Asti (oggi Castelnuovo) nel 1815, fu un
sacerdote ed educatore cattolico e santo. Ordinato sacerdote nel 1841, scelse
come propria attività principale l’educazione della gioventù, persuaso della
necessità di offrire alle classi sociali più umili una formazione completa,
che all’educazione religiosa affiancasse un’adeguata preparazione
professionale e un livello accettabile di istruzione. Considerando come
fondamento della sua opera un preciso metodo pedagogico volto ad assicurare un
fruttuoso approccio con i giovani, don Bosco (questo è il nome con cui il santo
è familiarmente noto) fondò a Torino nella località di Valdocco, il celebre
oratorio posto sotto la protezione di San Francesco di Sales: a questa figura
egli si ispirò anche nel proposito di dar vita a una congregazione religiosa,
quella dei salesiani, fondata a Torino nel 1859, riconosciuta definitivamente
dall’autorità ecclesiastica nel 1874, impegnandosi con i primi aderenti
nell’educazione dei giovani delle classi sociali più povere.
Accolto
favorevolmente in Italia, l’ordine raggiunse già nel 1875 la Francia e
l’America latina, dove si distinse per l’intensa opera di diffusione dei
libri come mezzo indispensabile alle attività pedagogiche e catechistiche,
fondando numerose case editrici tutt’ora attive. Alla famiglia salesiana
appartengono, con gli oltre 17.000 religiosi del ramo maschile, le suore di
alcuni istituti tra i quali le Figlie di Maria Ausiliatrice. Fu canonizzato nel
1934, la sua memoria liturgica è fissata al 31 Gennaio, fra i santi più
considerati dalla devozione popolare, la sua vita è oggetto di attenta
valutazione in sede storica, soprattutto per quanto concerne il suo ruolo nella
formazione della dottrina sociale della chiesa cattolica: acquista particolare
valore in questo contesto la mole dei suoi scritti, circa 150, redatti con uno
stile volutamente spontaneo e concreto allo scopo di raggiungere il maggior
numero possibile di lettori. Muore a Torino nel 1888. In una delle sue lettere
scrive: “Aiutiamo i ragazzi a essere onesti cittadini e buoni cristiani. Non
è sufficiente preoccuparsi che diventino dei professionisti, se poi sono
disonesti, bugiardi, egoisti.”
Con
questa frase vorremmo farci capire quanto impegno don Bosco ha messo nel
rapporto con gli adolescenti e i giovani.
SANT’AGNESE… UN ESEMPIO PER NOI RAGAZZE!
L’esistenza
di questa
giovanissima martire, vissuta agli inizi del IV°Secolo vittima a 12 anni
della feroce persecuzione di Diocleziano, e ben documentata.
Attenendosi
ad una tradizione greca, papa Damaso parla del martirio di Sant’Agnese sul
rogo. Sembra però più verosimile l’affermazione del Poeta Prudenzio, secondo
cui la giovinetta venne decapitata con un colpo di spada; con il cruento
olocausto della sua giovine vita, tenero e cando agnello offerto in dono a Dio,
Agnese è ricordata come vergine martire, esempio di purezza. Il suo corpo fu
deposto nel cimitero intitolato a suo nome e sul suo sepolcro fu eretta una
splendida basilica. Il sacrificio di questa santa fu cantato in versi in un
bellissimo inno da sant’Ambrogio che, a Milano propose Agnese alle vergini
cristiane come modello di fede e di coraggiosa dedizione a Cristo.
Fin
qui qualche notizia storica; ma perché ricordare sant’Agnese ? per le sue
virtù e per poterle imitare. Sant’Agnese, infatti non è solo una festa
organizzata dalle ragazze per una serata insieme, ma oltre alla gioia di
condividere qualche ora con le amiche, c’è anche il desiderio di assomigliare
almeno un poco a questa giovane che ha amato così tanto Gesù fino a dare la
sua vita.
Viene
spontaneo, leggendo la sua storia, recitare una preghiera, preghiera da
rivolgere a Gesù, preghiera di ogni ragazza che si prepara alla vita, che si
sta impegnando a scoprire la propria vocazione.
Gesù figlio di Dio, che scegli le creature più miti e più deboli per
confondere la potenza del mondo,
donami il coraggio, nonostante la mia giovane età, di cercarti per
conoscerti sempre più e per amarti con costanza nella fede e nella purezza.
Fa che la mia vita si realizzi nella sua vocazione, rispondendo ai
desideri che il Tuo cuore ha per me.
Fa che con forza e coraggio io faccia della mia vita una corsa come di
messaggero che prende percorsi angusti senza paura di ferirsi per raggiungere i
fratelli e le sorelle che portano anch’essi il Tuo nome.
Insieme compiremo la corsa del Tuo vangelo, che passa attraverso il dono
di se stessi e ci conduce in ogni luogo in cui vi sono persone che attendono la
Tua infinita tenerezza.
Moscatelli
Chiara
S. FRANCESCO DI SALES
Gennaio:
24 S. Francesco di Sales, 31 S. Giovanni Bosco. Quasi 3 secoli dividono la
“nascita al paradiso” di queste due figure di santi, e se all’apparenza,
nulla li accomuna se non la santità, in realtà un filo, non tanto sottile,
unisce questi eletti: la passione educativa e la semplicità nel modo di
comunicare con la gente. In tempi ed epoche molto diverse hanno vissuto ed
interpretato queste loro peculiarità in stile encomiabile tanto da meritare
l’onore degli altari. Di Don Bosco si conosce quasi tutto, un po’ meno forse
del santo nativo della Savoia. Ad egli il grande prete piemontese si ispirò
quando pensò ed attuò i primi passi del suo movimento. L’oratorio del rione
Valdocco a Torino dove radunò i primi giovani era dedicato a S. Francesco di
Sales, da qui il nome di “Società Salesiana” ed il papa Pio IX quando diede
l’imprimatur all’opera di Don Bosco emblematicamente uscì con questa felice
espressione “che sale-siano”. Il riferimento al santo francese è stato
sempre ben presente nella vita di S. Giovanni Bosco.
Una
breve biografia del santo francese. Nacque ad Annecy nel 1567 durante il periodo
della prima ostensione della sindone voluta da duca di Savoia. Il padre lo
voleva avvocato, Francesco invece si lasciò “coinvolgere dall’amore di
Dio” e dopo aver studiato a Padova divenne sacerdote nel 1593. Erano quelli
gli anni dell’avvento della logica calvinista secondo la quale Dio destina da
sempre alcuni uomini alla salvezza e altri alla dannazione. Essere cattolico e
per di più sacerdote non offriva le più rosee prospettive ma nell’omelia
della sua prima messa Francesco afferma l’importanza della carità da
contrapporre ai cattivi esempi dei cattolici che col loro comportamento avevano
favorito l’ascesa dei calvinisti. Il vescovo rimase meravigliato di quel
discorso e capì che con Francesco poteva riportare nell’ambito della chiesa
di Roma una “moltitudine di pecorelle disperse”. Il novello sacerdote fu
destinato a Ginevra, allora popolata da venticinquemila anime con appena un
centinaio di persone rimaste fedeli al papa. Qui il giovane prete liberò la sua
voglia di agire e di comunicare: scriveva dei foglietti nei quali con il
linguaggio semplice ed efficace spiegava la verità della Fede, li affiggeva
alle porte delle case, li faceva scivolare sotto le porte, li attaccava ai muri
o nei posti più impensati, un precursore di quelli che oggi chiamiamo “uomini
dei mass media”. Ebbe confronti, anche acerrimi, con i seguaci di Calvino, ed
alcuni li condusse persino alla conversione. La fama crebbe e nel 1602 Francesco
fu consacrato vescovo. La nomina non lo inorgoglì, anzi vendette i beni,
concessogli di diritto dalla carica vescovile, ai più poveri e continuò la sua
missione nelle strade: era una fucina di iniziative con il solo scopo di
riportare all’ovile il gregge che aveva intrapreso un percorso diverso, magari
anche controvoglia. Mantenne contatti sia con l’alta aristocrazia sia col più
semplice dei fedeli, scrisse molto (allora non esistevano i computers e nemmeno
le Bic). Trovò il tempo di stilare anche i due libri che lo avrebbero eletto e
riconosciuto dai posteri Dottore della Chiesa: “Introduzione alla Vita Devota
“e “Trattato dell’Amore Divino”. Mangiava pochissimo, girava molto per
le visite pastorali nella sua diocesi di Ginevra, teneva un ritmo alto di vita
che gli consumava le forze: morì a Lione il 28 dicembre del 1622 a soli 55
anni. Il 24 gennaio 1623 fu sepolto nella nativa Annecy, nel 1655 fu dichiarato
Santo, nel 1877 proclamato Dottore della Chiesa, e nel 1923 papa Pio XI lo
elegge patrono dei giornalisti cattolici. Un santo che ha fatto della coerenza
una delle ragioni della sua breve ma intensa e laboriosa vita. Un esempio da
seguire o tentare almeno di imitare nel limite del possibile per chi dal
giornalismo trae la fonte del suo sostentamento.
Pubbli chiamo qui di seguito la lettera di ringraziamento inviata
alla nostra parrocchia dalla Caritas Ambrosiana.
Milano, 8 gennaio 2003
Caritas
Ambrosiana
Ma
venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino. Allora,
chiamati a sé i discepoli, disse loro: - In verità vi dico: questa vedova ha
gettato nel tesoro più di tutti gli altri:
Poiché
tutti hanno dato del superfluo, essa, invece, nella sua povertà, vi ha messo
tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere- (Mc 12,42.44)
Siamo
grati per la Vostra generosità.
Siamo
felici che ancora tante persone si accorgano che alcuni fratelli non hanno
neppure l'essenziale per poter sopravvivere e chiedono urgente aiuto.
Vi
ringraziamo perché Vi fidate di noi dei nostri mezzi e confidate nella nostra
continua ricerca di promozione di qualsiasi essere umano, vicino o lontano.
Vogliamo
rispondere con prontezza a questa Vostra fiducia affinché siate sempre di
sprone per le nostre attività a favore degli ultimi.
Anche
per questi motivi siamo lieti di precisare che la Vostra offerta di euro 700
effettuata in data 19-11-2002 verrà impiegata in favore di ONLUS EMERGENZA
ITALIA.
Nel
ringraziarVi porgiamo vive cordialità:
Il
Procuratore (don Virginio Colmegna)
QUI
PER TE…LÀ PER LORO
gennaio 1995 da roma, alla vigilia della sua
seconda partenza in libano, suor donatilla ci scriveva:
Per
noi missionari ogni stagione della vita è buona per “prendere il largo” e
ripartire, andare oltre frontiere per testimoniare l’amore di Dio nel servizio
dei fratelli.
Ci
vuole coraggio, una grande fede e un abbandono sconfinato per proiettarsi in una
nuova missione
Con
il Salmista mi viene spontaneo dire:
“Piantata
nella casa del Signore
mi spingo in
avanti con gioia
quale cedro del
Libano
ricevo tutta la
forza dal mio signore
per poter
produrre frutti abbondanti anche
nella vecchiaia
e poter dar gloria
al Padre che è
nei cieli”
Salmo81
ottobre 2002 abbiamo incontrato suor donatilla
di ritorno in italia per una breve vacanza e le abbiamo posto alcune domande
Com’è la situazione in Libano?
Il
Libano, paese dai molteplici volti, che riunisce in se innumerevoli ricchezze
archeologiche, una grande diversità geografica, culturale e religioni
differenti, sta risollevandosi dai lunghi anni di guerra (1975/1990).i numerosi
libanesi emigrati nei cinque continenti, restano fortemente attaccati alla
propria terra e alle loro radici culturali.il loro desiderio più vivo è di
ritornare nel paese ogni volta che possono, per ritrovare il calore delle
radici, portare il proprio aiuto e ricostruire la pace, insieme alle cose
distrutte.
Nonostante
l’insicurezza diffusa dal permanere dell’occupazione siriana, il Libano si
sita ricostruendo, è in via di ricostruzione. È un modo per testimoniare la
rivincita della vita sulla morte, della pace sulla guerra. In questo contesto
socio-politico la Chiesa lavora per la riconciliazione e aiuta le popolazioni,
fuggite sotto l’urto della violenza, a ritornare nei loro villaggi.
Sappiamo che si è celebrato il Sinodo speciale per la Chiesa Cattolica,
com’è stato accolto? Quali sono le attese? Com’è vissuto?
Il
Santo Padre ci ha fatto dono di una sua visita consegnandoci l’Esortazione
Apostolica “UNA NUOVA SPERANZA PER IL LIBANO”. In questo delicato momento le
indicazioni del Sinodo costituiscono per i cristiani libanesi un motivo di
speranza. Tutti i libanesi non solo vogliono
cancellare
le rovine che la guerra ha inferto alle cose e alle persone, ma vogliono
ricostruire un Libano nuovo. Per ricostruire un Libano nuovo occorre ripartire
con umiltà abbandonando illusioni e odio e iniziare la salita della montagna
che porta la Libano-Missione (così si è espresso un giornalista)
Per
LIBANO MISSIONE si intende la vocazione a cui il Libano si sente chiamato,
aperto com’è sull’Oriente arabo e sull’Occidente. Missione come: dialogo
tra diversi, convivenza pluralistica, mediazione, testimonianza evangelica.
Iniziare la salita della montagna vuol dire che il lavoro per la ricostruzione
del Libano è tutta in salita. Il Sinodo infatti da orientamenti per incidere
sulle diverse dimensioni che costituiscono la vita: dimensione religiosa,
sociale, economica e politica.
Suor Donatilla, dentro questo contesto, lei come si
sente, quale ruolo svolge dentro questa società?
La radice
profonda del mio essere qui in Libano oggi trae la sua origine dal Sinodo
stesso, dall’Esortazione Apostolica “UNA NUOVA SPERANZA PER IL LIBANO”.
Questo
documento afferma che una delle vie di rinnovamento della Chiesa de Libano è la
sua apertura alla missione “Ad Gentes”
“Lo slancio
missionario verso l’esterno non può che rinnovare la giovinezza ed il vigore
della Chiesa all’interno di essa…”
La Chiesa si è
lasciata interpellare da queste provocazioni e si è chiesta come mai il soffio
missionario e lo zelo apostolico che hanno animato i primi secoli del
cristianesimo, col passare dei secoli si è affievolito e rischia di
estinguersi.
In Libano la
Chiesa rischia di sparire perlomeno di sussistere con qualche minoranza.
Attualmente in Libano i cristiano sono il 40%. Le ragioni della regressione sono
diverse, ma il fattore più importante che ha portato a questo stato di fatto è
stato quello della persecuzione dei cristiani in questa regione subito durante
lunghi secoli riducendoli ad una minoranza. Questa situazione li ha portati a
lottare per conservarsi e sopravvivere più che cercare di evangelizzare gli
altri, e di conseguenza si è perso lo slancio missionario.
Il pericolo che
minaccia ancora i cristiani del Libano è quello di contentarsi di “conservare
la fede” portandoli ad una chiusura su loro stessi, mettendosi delle barriere
e fare una specie di ghetto. Di conseguenza non si è più sole della terra e
luce per il mondo.
Suor Donatilla, se il suo essere in Libano ora trae la sua radice
profonda dall’esortazione Apostolica, come serve questa Chiesa, come riesce ad
essere lievito dentro questa massa?
Una candela se
si vuol conservare, non illumina. Il sole messo accanto al cibo è immangiabile.
Il lievito diluito nella pasta rischia di marcire e la pasta non lievita.
Il grano di
frumento se non accetta di essere messo in terra e morire, resta solo e non da
frutti. Così per me. Il mio essere è quello di immergermi in quel contesto di
Chiesa, è essere presente come una discepola del Signore Gesù cristo e unirmi
ai credenti per sostenerci reciprocamente nel cammino della testimonianza
evangelica.
Ero attesa in
Libano come esperta di animazione missionaria” nella diocesi di Milano. Nella
linea dell’interscambio e della cooperazione tra le chiese, i miei superiori
mi hanno invitato per questo compito specifico.
Al mio arrivo
nel Gennaio 1995, si è subito costituito un piccolo gruppo di riflessione con
la partecipazione di due vescovi, per vedere come ridare a questa nostra chiesa
un nuovo slancio missionario ed una nuova giovinezza.
Dopo due anni
di lavoro e di sensibilizzazione si è riusciti ad allargare il gruppo e dare
vita al GAM (gruppo di animazione missionaria) riconosciuto ufficialmente dalla
Chiesa come Commissione Missionaria nazionale per la cooperazione tra le Chiese.
gruppo
operazione s.o.s.
APPUNTAMENTO CON IL GAG
Oggi
è domenica 15 dicembre e siamo sotto il portico della chiesa di Montesolaro
cercando di sopportare il freddo con un termos di tè bollente: a quest’ora
non c’è molta gente (praticamente nessuno, sono le tre del pomeriggio!) che
passa e si ferma al mercatino dell’“operazione
S.O.S. 2003” per il Libano; fino ad ora comunque si può essere
soddisfatti del risultato.
Intanto,
come ogni mese, raccontiamo a tutti quelli che non hanno potuto partecipare alle
iniziative del GAG cosa hanno combinato i ragazzi di Montesolaro venerdì 13
dicembre (appuntamento mensile per la cena insieme) e nelle festività
natalizie.
La
cena di venerdì 13 è stata molto partecipata (più di 40 persone) e come al
solito ottima, per merito delle nostre cuoche Anna, Rosy e Elda. Il post-cena è
stato all’insegna della musica: tutti (o quasi) i partecipanti alla serata si
sono divisi in due squadre sfidandosi a suon di canzoni, diretti dal
“capobanda” Stefano che ci ha forniti di karaoke. La gara è finita in parità
(tanto per cambiare!)… quindi prossimamente ci sarà la rivincita… tenetevi
pronti!
Ma
i ragazzi di Montesolaro si sono dati da fare anche collaborando col gruppo
missionario (proposta caritativa “operazione S.O.S. 2003), durante i mercatini
di domenica 8 e domenica 15 dicembre, prima a Carimate e poi a Montesolaro. Ma
noi siamo solo degli aiutanti, quindi sarà il gruppo missionario a tenervi
aggiornati sulla proposta caritativa di quest’anno.
Qui
però non ci si ferma mai, neanche durante le festività natalizie: infatti ci
siamo scambiati gli auguri dopo la messa di mezzanotte e siamo stati tutti in
oratorio a mangiare una fetta di panettone. Ci siamo anche organizzati per un
capodanno coi fiocchi (ovviamente in senso figurato, non ha nevicato affatto!):
abbiamo vissuto infatti qualche giorno (29/12-1/01 a Monteleco) insieme in
amicizia, collaborazione, divertimento e… non anticipiamo troppo!, leggerete
il resoconto della vacanza nella pagina che segue…
Rinnoviamo
come al solito l’invito a tutti i ragazzi per il venerdì sera, prima a messa
e poi all’oratorio, dove potrete vedere anche il calendario con i prossimi
appuntamenti e aggiornarvi. Vi aspettiamo!
Come
tutti gli anni, la nostra comunità parrocchiale festeggia gli anniversari di
matrimonio. Nel gruppo ci siamo anche noi.
La
nostra storia inizia il 1° Maggio 1978: 25 anni di matrimonio.
Guardando
a ritroso la nostra vita insieme il primo pensiero è un GRAZIE al Signore per
tutti i doni che ci ha regalato.
Pensiamo
ai nostri genitori che per primi ci hanno insegnato, più con l’esempio che
con le parole, i veri valori della vita.
Pensiamo
ai nostri sacerdoti ed educatori che ci hanno aiutato, prima e durante il
matrimonio, a fare sempre riferimento agli insegnamenti di Gesù in ogni
situazione piacevole e non.
Pensiamo
ai nostri figli, Dio si è servito di noi per continuare nel mondo la sua opera
creatrice.
Pensiamo
a tutti gli amici che abbiamo incontrato sul nostro cammino e che hanno
condiviso con noi esperienze di gioia, di preghiera e di svago, ma anche di
dolore e sofferenza.
Ricordiamo
l’entusiasmo iniziale con il quale abbiamo affrontato questa esperienza e
insieme la fatica dei primi anni nel conciliare gli impegni di lavoro con la
casa, i figli, gli amici e i momenti per noi.
Poi,
adagio adagio, abbiamo scoperto che è proprio la fatica quotidiana, nei
semplici gesti di ogni giorno, nell’accettarci così come siamo, coi nostri
pregi e difetti, che si manifesta l’amore l’uno per l’altro.
Gli
anni poi sono passati, le situazioni sono cambiate, problemi nuovi si sono
presentati, la famiglia è aumentata e… quanti bei ricordi, ma anche quanti
errori, quanti sbagli, quante mancanze d’amore!
Per
fortuna il Signore, nella sua grande misericordia, ci perdona sempre e ci è
vicino per incoraggiarci e spronarci a fare sempre di più, sempre meglio.
Certo
noi vorremmo avere ancora del tempo, ancora molto tempo, per poter arrivare a
vivere la nostra vita sempre più in sintonia con la fede, ma…il tempo non è
nelle nostre mani, anche il tempo è dono di Dio.
Nel
frattempo cercheremo di porre attenzione più alla qualità che alla quantità
delle ore da vivere insieme, sperando di festeggiare ancora molti e molti
anniversari di matrimonio.
Con
gioia, vogliamo condividere questo momento di festa con le altre coppie che
festeggiano i loro anniversari, con l’augurio di ritrovarci ancora insieme
tra… 50 anni!
Lasciati
ormai alle spalle i cenoni e le abbuffate delle feste, per tutti gli atleti e le
atlete del GS Montesolaro sono riprese a pieno ritmo le attività sportive tra
allenamenti e partite… e il freddo inverno.
Tutto
ciò anche per aiutarci a smaltire le scorpacciate di panettone e pandoro delle
feste natalizie… ma neppure il tempo di ritrovare la linea che ci si presenta
“un allettante incontro” organizzato dal GS! Eh! Si torna la Festa
d’Inverno del GS: esattamente venerdì 31 gennaio, sabato 1 e domenica 2
febbraio la nostra palestra si “vestirà” di festa per questo fine settimana
di alta arte culinaria tradizionalmente brianzola.
Ai
tavoli potrete gustare dalla polenta con lenticchie, o salame o formaggio, al
brasato, alla cazzuola ed altre tipiche specialità che ormai da qualche anno ci
vengono proposte proprio in questa festa al centro del freddo inverno!!
È
un piccolo assaggio prima della grande Festa della Sport che si terrà, come di
consueto, a giugno.. vediamo dunque di non mancare… tutto il GS ci aspetta
alla tensostruttura a partire da venerdì 31-01 fino a domenica mezzogiorno del
2-02… e buon appetito a tutti!
La
nuova stagione ormai ha preso piede e come da un paio d’anni esco dal lavoro e
corro al campo, mi cambio e si comincia ad assaporare gioie e dolori del mio
hobby. Così faccio l’allenatore, l’istruttore, l’educatore: insomma, mi
butto in mezzo a una ventina di ragazzi e provo a convogliare positivamente le
loro energie, ad aumentare in loro il piacere di giocare al pallone con gli
amici. E come me, migliaia di tecnici e di giovani calciatori passano le
settimane a correre e sudare, cercando di fare il meglio per la faticosa
stagione che devono affrontare. Ma quanto lavoro c’è a monte dell’inizio
della stagione? È sufficiente uscire dallo spogliatoio con pettorine in mano e
fischietto in bocca, ripescando nella memoria gli esercizi che facevamo noi
vent’anni fa, oppure ci vuole qualcosa in più per allenare questi sbarbatelli
che ci hanno affidato?
Io
sto con quelli che pensano che un allenatore si costruisce nel tempo,
aggiungendo continuamente informazioni al proprio bagaglio e alle proprio doti
naturali, pure importanti, perciò credo utilissima ogni fonte di informazione
tipo un corso, che ti completi, rubriche, libri… tutto quello che si apprende
è significativo per un completamento. Un allenatore di settore giovanile, poi,
deve avere sempre qualcosa da trasmettere ai suoi allievi, perché se nel mondo
del calcio adulto puoi al limite bluffare e rifugiarti nelle circostanze, è
immorale e diseducativo prendere in giro dei bambini. Se i dirigenti del G. S.
Montesolaro mi affidano una squadra, non devo considerarlo come un semplice
materiale da restituire a fine stagione, ma devo capire qual è la filosofia
societaria (obbiettivi e aspettative), tipo:
mirano
alla crescita o solo risultati? E chiarito col presidente o direttore sportivo
il fine si può iniziare a lavorare. Visto che si sa l’obiettivo del G. S.,
soprattutto nel settore giovanile, va analizzata la rosa per affrontare la
stagione: calcolando il freddo, i malanni, le pagelle e taluni casi l’influsso
del genitore che castiga il ragazzo, diciamo che castiga anche il gruppo, visto
che non gioca da solo, si penalizzano anche i compagni. Perciò suggerirei un
dialogo società-ragazzo-genitore, così che tutto possa andare per il meglio.
Mi viene il dubbio di averla messa giù pesante e di aver allontanato qualcuno
dall’idea di dedicare parte del suo tempo libero a seguire i ragazzini; ma se
lavoreremo seriamente e serenamente, le soddisfazioni che i ragazzi ci
regaleranno saranno tante.
Chef-Andreasi
ANAGRAFE PARROCCHIALE anno 2002
1.
Arnaboldi Federico
2.
Sancesario Marika
3.
Monguzzi Silvia
4.
Moscatelli Nicolas
5.
Moscatelli Carolina
6.
Princi Riccardo
7.
Molteni Sabrina
8.
Orsenigo Andrea
9.
Valente Francesca Maria
10.
De Marco Sara
11.
Danesi Riccardo
12.
Porro Luca
13.
Porro Camilla
14.
Bossi Giacomo
15.
Nava Eugenio Carlo Maria
16.
Del Pero Giada
17.
Montorfano Giulia
18.
Fontanella Giulia
19.
Mezzanotti Davide
1.
Longoni Stefano Luigi con Orsenigo Debora Maria
2.
Brenna Michele con Marzorati Stefania
3.
Marelli Massimiliano con Filippini Nadia
4.
Zamaroni GianMarco con Casavola Silvia Paola
5.
Mascheroni Simone con Bossi Paola Maria
6.
Tagliabue Michele con Zappa Loretta
7.
Valtulini Andrea con Bianca Roberta
8.
Napoli Salvatore Antonio con Parisi Daniela
9.
Galotta Massimo con Moscatelli Maria Alice
10.
Di Marzio Paolo con Barbareschi Novella
1.
Stanca Antonio di anni 69
2.
Scarpino Santo di anni 73
3.
Eramo Antonia di anni 89
4.
Porro Arturo di anni 76
5.
Colombo bambina di anni79
6.
Romano Salvatore di anni 71
7.
Chiesa Francesco Giuseppe di anni92
8.
Anania Annalisa di anni 32
9.
Allevi Mario Felice di anni 89
10.
Tagliabue Anna di anni 88
11.
Todarello Maria di anni 71
12.
Lizzi Salvatore di anni 65
13.
Brienza Francesco di anni 78
14.
Proserpio Stefano di anni 91
15.
Cozza Regina di anni 93
16.
Mauri Modesta di anni 52
17.
Allevi Giancarlo di anni 69
I MILLE VOLTI DEI CRISTIANI
Nel
corso dei secoli ragioni politiche, sociali, economiche aggiunte alle divergenze
di carattere teologico e dottrinale determinarono continue fratture
all’interno della Chiesa.
Già
la comunità cristiana dei primi secoli della nostra era fu animata da discordie
sui destinatari del messaggio evangelico: i pagani desiderosi di convertirsi al
cristianesimo dovevano prima entrare a far parte della comunità giudaica
mediante la circoncisione? In altre parole, Cristo era venuto solo per il popolo
eletto o per tutti gli uomini? Il concilio di Gerusalemme diede ragione a Paolo,
sostenitore del carattere universale della proposta cristiana.
I
secoli IV-VI d. C. furono caratterizzati dai grandi movimenti eretici combattuti
a colpi di scomuniche. Essi contestavano la duplice natura divina ed umana di
Cristo, che è integralmente Dio (ab
aeterno) ed integralmente uomo (dal concepimento nel grembo di Maria),
negandone alcuni la divinità (ariani), altri l’umanità (monofisiti), altri
ancora il carattere essenziale dell’unione delle due nature (nestoriani).
L’ortodossia, cioè la “retta opinione” fu sancita da concili ecumenici,
il cui scopo era far chiarezza sulle controversie teologiche o disciplinari
ponendo fine a quelle eresie che minacciavano di spezzare non solo l’unità
religiosa, ma anche quella politica. I capi della Chiese apostoliche si
riunirono per la prima volta a Nicea nel 325 sotto l’egida di Costantino,
colui che trasformò l’impero romano in impero cristiano, per servirsi della
linfa vitale di una religione che, pur clandestina e perseguitata, non smetteva
di raccogliere proseliti. Il testo del simbolo della fede elaborato a Nicea fu
integrato in seno al concilio di Costantinopoli (381) con aggiunte che non
avevano più una base neotestamentaria, ma erano il frutto delle riflessioni dei
teologi. Fu il concilio di Calcedonia nel 451 a chiudere definitivamente, almeno
dal punto di vista della formulazione dottrinale, la questione delle due nature
di Cristo. Ariani, monofisiti, nestoriani scossero profondamente le fondamenta
della Chiesa, “una, cattolica e apostolica”, ma essa riuscì a resistere
agli attacchi fondando la sua unità attorno al credo niceno-costantinopolitano.
Ma
nell’XI secolo i tempi erano maturi per una rottura definitiva: le ragioni
politico-militari che fino ad allora avevano contribuito a tenere uniti i due
rami del cristianesimo, la Chiesa d’Oriente e quella d’Occidente, fondati
sulla divisione del mondo in impero bizantino, da un lato, ed appendici dei
regni romano-barbarici, dall’altro, erano ormai venute a mancare. E fu lo
scisma. Attori furono l’ambizioso patriarca di Costantinopoli, Michele
Cerulario, ed il debole imperatore Costantino IX Monomaco, da un lato, Papa
Leone IX con il suo braccio destro, il cardinale Umberto, capo degli
antibizantini, dall’altro. Oggetto della contesa: questioni dogmatiche e
liturgiche. Ciascuna parte puntò su queste ultime per conquistarsi il favore di
un’opinione pubblica non avvezza alle sottigliezze dei ragionamenti su Dio. Ma
era proprio una questione teologica il terreno dello scontro più aspro. In
Occidente il credo era stato integrato con la formula “Filioque”
riguardo alla processione dello Spirito Santo, il quale, secondo la dottrina
cattolica, “procede dal Padre e dal
Figlio”, mentre secondo il credo ortodosso, fedele alla formulazione
niceno-costantinopoli-tana, solo dal Padre. Così nel 1054 si consumò la
divisione tra le Chiese d’Oriente e d’Occidente, a colpi di reciproche
scomuniche.
Ma
all’interno della Chiesa d’Occidente nei secoli successivi spirarono venti
di rinnovamento: fu un proliferare di movimenti che chiedevano con forza un
ritorno alla purezza delle prime comunità cristiane. Lo spirito evangelico
ormai languiva, schiacciato dal peso di una gerarchia ecclesiastica percepita
non più come il necessario tramite tra l’uomo e Dio, ma come un ostacolo al
rapporto diretto e personale di ogni creatura con Colui che le ha dato la vita.
Su questo terreno si sviluppò la Riforma che nel XVI secolo oppose cattolici e
protestanti. Questo in estrema sintesi il quadro storico.
Ma
quale sarà il futuro?
Occorre
ripartire dalle radici comuni alla luce dell’amore di Dio che tutti abbraccia,
incoraggiando il diffondersi di uno spirito autenticamente ecumenico che ci
predisponga all’apertura generosa verso le altre confessioni cristiane. A
questo scopo è stata istituita la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani: tra il 18
ed il 25 gennaio siamo chiamati a riflettere su questo tema ed a
sostenere con la nostra preghiera gli sforzi necessari per un riavvicinamento
tra le Chiese cristiane. Questo è il contributo che ciascuno di noi può dare
alla causa dell’unità dei cristiani. Riguardo alle discussioni teologiche,
sembra quanto mai urgente affidarsi alle raccomandazioni di Socrate perché il
dialogo porti i suoi frutti: nel cammino verso la Verità bisogna chiarire i
termini della discussione per non incorrere in equivoci; essere realmente
disposti all’ascolto; non barricarsi dietro a pregiudizi, ma lasciare che essi
cadano di fronte a valide confutazioni. Solo così, su un terreno sgombro da
ostacoli, è possibile ricostruire l’unità perduta.
C’era
una volta la vita...
non
che ai nostri giorni non si possa parlare di vita, certo, ma sembra che nel XX
secolo questo termine stia assumendo significati un po’ diversi rispetto alla
sua intima essenza.
La
vita si genera da un atto d’amore, o almeno così è sempre stato, o almeno
così si credeva fino a poco tempo fa, quando la ricerca scientifica attraverso
la genetica si è attribuita il diritto di appropriarsi del genoma umano e farne
oggetto di sperimentazione. La Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo
dell’ONU afferma che “il genoma umano è patrimonio comune dell’umanità”,
il Vangelo testimonia che la vita è il dono di Dio per eccellenza, tuttavia
pare proprio che nell’era contemporanea, quella della modernizzazione e
dell’avanguardia tecnologica e scientifica, sia l’uomo a volersi appropriare
del segreto della vita e del genoma umano per forgiarlo a suo piacimento.
Il
timore più grande dell’umanità in questo periodo della storia è che
l’ingegneria genetica, dopo aver dato luogo alla clonazione di una pecora
dalle cellule di un animale adulto (tutti conoscono l’ormai famosissima pecora
Dolly creata dallo staff del Roslin Institute di Edimburgo), possa essere
utilizzata per compiere un’analoga operazione anche per l’uomo. Così come
si è giunti a produrre animali biologicamente identici, anche se non sempre
riusciti alla perfezione, tuttavia molti ritengono che non sarebbero
insormontabili le difficoltà a clonare un uomo.
Quello
che più spaventa parte dell’opinione pubblica è l’ipotesi che un giorno o
l’altro l’ingegneria genetica giunga a sostituirsi al concepimento,
fabbricando l’uomo in laboratorio, in modo del tutto artificiale ed
artificioso.
Di
fronte a questa impensabile eventualità la Chiesa ribadisce l’origine divina
della vita quale dono di Dio e frutto di un atto d’amore e condanna tutte le
menti che in preda ad una narcisistica esaltazione alla “dottor Frankestein”
tentino di sostituirsi a Dio nel tentativo di creare un essere umano ad immagine
e somiglianza di un certo prototipo da essi ideato.
Il
2 febbraio sarà un’occasione particolare per riflettere sulla questione e per
ricordare come l’uomo non può arrogarsi il diritto di sostituirsi al suo
primo creatore che l’ha forgiato a sua immagine e somiglianza, perché, come
ricorda la Curia Vescovile nel messaggio alla diocesi di Milano, “tutte le
vite sono del Signore” ed ogni esistenza viene da Lui”.
11
Aprile 1963… è un giovedì, il giovedì santo e Papa Giovanni XXIII pubblica
uno scritto… quello scritto si chiama “Pacem in terris” e diverrà la
richiesta di pace fra gli uomini più accorata, sincera, commovente e coraggiosa
della storia… Perché coraggiosa? Perché non era un buon periodo per parlare
di pace… il mondo a cui si rivolgeva l’enciclica, era quel mondo che aveva
attraversato due guerre mondiali, era quel mondo che aveva visto l’affermarsi
di sistemi totalitari devastanti, era quel mondo che, una bella mattina del
1961, si era svegliato e aveva scoperto l’esistenza di un muro che era sì a
Berlino, ma in un modo sottile e deleterio divideva l’umanità intera… il
mondo a cui si rivolgeva l’enciclica era un mondo che si trovava sull’orlo
di una guerra nucleare per la crisi dei missili a Cuba… e allora ci vuole
coraggio a parlare di pace ad un mondo così, ci vuole coraggio a parlare di
pace ad un umanità che ha visto scorrere davanti a sé solo guerre o, almeno,
è solo di quelle che si ricorda…
Vedete,
io credo sia molto difficile cercare di vivere secondo qualcosa che non si
conosce, anelare a qualcosa che è passato nelle proprie vite come una chimera.
Nel
1963 gli uomini avevano conosciuto la pace solo per pochi istanti, l’avevano
incontrata fra le due guerre per pochi anni, poi persa di nuovo. È difficile
conoscere a fondo “qualcuno” che se ne va e viene così velocemente, un
po’ come un marinaio… l’attimo prima è lì e quello dopo una tempesta o
semplicemente la sete d’avventura se lo portano via. Oggi, nel mondo in cui
viviamo noi, quel marinaio è diventato affidabile, è diventato qualcuno su cui
poter contare… oggi, per la maggior parte dei popoli della terra, quel
marinaio è diventato un punto fermo in grado di donare serenità ed
equilibrio… e allora mi chiedo come sia possibile voler lasciare andare
qualcosa di così bello, mi chiedo come sia possibile voler allontanare da sé
“qualcuno” che ci dona gioia e tranquillità… mi chiedo come sia possibile
essere arrivati ad un traguardo così immenso, essere riusciti a catturare una
chimera, essere riusciti a domare un marinaio e non volerlo accanto a sé per
sempre…
raffaella formenti
FRATELLI D’ITALIA
Com’è noto
i simpaticissimi “vu cumprà” trapiantati nelle nostre città, che lavino i
parabrezza delle automobili, vendano Luis Vuitton “taroccate” o collanine
dai poteri taumaturgici, chiamano “fratello” il potenziale acquirente per
approcciare al meglio. E ciò non succede solo con i pigmentati d’ebano, ma
anche, in buona misura, con chi crede in Allah, venga o meno dall’Africa nera.
Per questi
ultimi purtroppo, e sottolineo il “purtroppo”, tale appellativo ha, quasi
sempre, valenza unicamente “commerciale”, di facciata quindi. Nei fatti,
l’intolleranza cultural-religiosa, e sottolineo cultural-religiosa, verso di
noi che li ospitiamo ai confini della legalità è sempre strisciante,
estrinsecandosi poi apertamente nei loro luoghi di culto.
Questa realtà
è stata denunciata con toni più o meno aspri da altri Prelati della Chiesa
Italiana e toccata velatamente anche dallo stesso Papa Wojtila il quale, in un
suo recente discorso pubblico, ha predicato ampia apertura verso i
“fratelli”, qui sì in senso “letterale”, mussulmani ma ha anche
esortato questi ultimi ad osservare le leggi del nostro Paese e della umana
Civiltà.
Un giurista
tradurrebbe queste accorate e cristiane parole del Successore di Pietro
appellandosi al Diritto Internazionale ed al cardine su cui esso si regge,
ovvero il principio della “reciprocità”. Vale a dire, usando un linguaggio
spiccio, “ciò che io ti garantisco nella mia nazione, deve essermi garantito
anche nella tua”. Cosa che accade molto raramente, per usare un eufemismo,
visto che in Italia le Moschee possono proliferare senza particolari ostacoli,
mentre non mi pare che l’Arabia Saudita o il Sudan pullulino di Chiese
cattoliche…
Certo,
bisogna oggettivamente comprendere quanto la Lex mussulmana sia piena di
commistioni con la Lex coranica, ma questa non può essere una valida scusa bensì
una chiara contraddizione, soprattutto se si pensa che viviamo in un periodo
storico all’interno del quale praticamente tutti gli Stati devoti di Allah
fanno parte, a buon diritto, peraltro, dell’O.N.U. dove il Diritto è, deve
essere, uno solo, laico e libero da pesanti condizionamenti religiosi.
Tornando alle
“questioni” di casa nostra è necessario fare anche un po’ di autocritica,
seguendo proprio le parole del Papa. Al bando stupide “prevenzioni” verso
chi prega rivolto alla Mecca. Dietro tale e triviale atteggiamento si celerebbe
solo il più bieco razzismo che ci farebbe malati proprio di quell’ottuso
“complesso di superiorità” che aspramente loro critichiamo.
Cosicché al
“fratello” pronunciato dai mercanti di strada del terzo millennio si possa
anche noi rispondere un “fratello” nel più puro spirito evangelico. Cosicché
al “fratello” dei mussulmani si possa anche noi ribattere con un
“fratello” scevro di inutili e dannosi pregiudizi mentali.
Ad Allah
piacendo, s’intende…
Ruggero
Fumagalli
“TROVA IL TEMPO”
Trova il tempo
di riflettere
è la fonte della forza.
Trova il tempo
di giocare,
è il segreto della giovinezza.
è la base del sapere.
Trova il tempo
d’essere gentile,
è la strada della felicità.
Trova il tempo
di sognare,
è il sentiero che porta alle stelle.
Trova il tempo
di amare,
è la vera gioia di vivere.
Trova il tempo
d’esser contento,
è la musica dell’anima.
(Antica ballata
irlandese)